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I robot rappresentano un elemento indispensabile per l’innovazione, in ambito industriale e non solo. Una delle aziende più celebri in questo campo è senza dubbio la Boston Dynamics, i cui robot nel corso degli ultimi tempi hanno conosciuto una fama eccezionale a livello planetario. Basti pensare a SpotMini, che è la prima creatura del brand per la quale è stato previsto il lancio sul mercato, proprio quest’anno: si tratta di un cane robot in grado di passeggiare e di compiere la maggior parte delle altre attività tipiche dei nostri amici a 4 zampe. La startup americana, la cui proprietà fa capo alla nipponica Softbank, è diventata famosa anche per Atlas.

Anche in questo caso si parla di un robot, la cui peculiarità è quella di essere in grado di fare parkour, mettendo in mostra movimenti così fluidi che risulterebbero difficile per la maggior parte delle persone comuni. Atlas ha la capacità – anzi, forse sarebbe più corretto dire che ha “le” capacità – di saltare su scalini alti una quarantina di centimetri ma anche sui tronchi degli alberi, di correre, di bilanciarsi e di trovare il proprio equilibrio su un piede solo e di inchinarsi. Non si tratta di fantascienza ma di realtà: una realtà che affonda le radici nel lontano 2005. Sono passati ben 14 anni, infatti, dalla nascita della prima creatura di Boston Dynamics.

Anche in quella occasione si trattava di un cane (robot, ovviamente), a cui era stato dato il nome di BigDog. Un quadrupede che, però, non nasceva con l’intento di diventare un animale da compagnia, ma piuttosto di lavorare come un mulo, nel senso che il suo scopo era quello di supportare i militari che erano chiamati a operare su terreni accidentati per trasportare oggetti. Insomma, BigDog serviva a conseguire scopi che un robot tradizionale, dotato di cingoli o di ruote, non sarebbe stato in grado di ottenere.

Era un robot con le gambe che, pur non riuscendo a superare una velocità di 6 chilometri all’ora, aveva la capacità di trasportare fino a 150 chili di carico, anche su pendenze che sfioravano i 35 gradi. Dopo BigDog, poi, fu la volta di Cheetah, si rivelava una sorta di evoluzione del suo predecessore: anche lei aveva 4 gambe, ma riusciva a toccare i 45 chilometri orari di velocità, più o meno 13 metri al secondo. Un altro diretto discendente di BigDog è stato LittleDog, che però rispetto al suo antenato presentava un corpo di dimensioni molto più ridotte.

Innovazione e tecnologia sono state alla base del già menzionato SpotMini, il cui peso non supera i 25 chili e che forse è stato il primo prodotto di Boston Dynamics a diventare virale: il video che lo immortalava nelle sue imprese, una volta che è stato postato su Youtube, ha superato la soglia dei 2 milioni di visualizzazioni nel giro di pochi mesi. Dopo SpotMini, comunque, non ci si è fermati, ma semplicemente si è passati dalle creature con 4 zampe a quelle con 2. Il primo bipede della storia del marchio si chiamava Petman, e in realtà non era altro che un manichino progettato e messo a punto per testare la capacità di resistenza delle tute di protezione rispetto agli agenti chimici.

Anche grazie a Petman si è potuti arrivare ad Atlas, un robot che riesce perfino a eseguire esercizi ginnici e che mette in mostra una fluidità di movimenti mai raggiunta in precedenza. Ovviamente per arrivare a un risultato di questo tipo c’è stato bisogno di componenti i qualità, come per esempio gli attuatori elettrici lineari, continue sperimentazioni e di studi progressivi, e così oggi Atlas è un robot che sa ragionare nel momento in cui si muove. Che debba saltare usando unicamente una parte del proprio corpo o che sia chiamato a superare un ostacolo senza doversi fermare, il prodotto di Boston Dynamics apre importanti prospettive nel settore industriale, non solo per scopi militari ma anche per numerose applicazioni civili, se non addirittura ludiche. Così come i droni, un tempo usati in guerra e oggi impiegati da tutti.

La tecnologia che sta alla base dei robot di Boston Dynamics, per altro, è molto importante anche per applicazioni – per così dire – più prosaiche nel settore dell’automazione industriale.